3.8.06

Il cinema americano e la "sindrome del Vietnam"


Posted by Picasa

Ieri ho visto “Un Mercoledì Da Leoni” (“Big Wednesday”), il film-cult di John Milius del 1978.

E m’è venuta in mente una riflessione che mi ronzava in testa da tempo – devo dire anche piuttosto insistente e sfrontata. Dal tempo in cui vidi “Il Cacciatore”, il mitico film di Michael Cimino con De Niro e Walken del 1979. Davvero uno dei più grandi film della storia del cinema.

E cioè: la guerra in Vietnam è la guerra che sola ha dato adito e stimoli a film (per la più parte) non di guerra. Almeno in un certo periodo, per poi sdoganarsi verso gli anni ’80.

Al contrario di quanto è avvenuto con la seconda guerra mondiale, con la Grande Guerra, con tutte le guerre “storiche”, dalle napoleoniche alle puniche, la guerra in Vietnam spesso ha plasmato, con la sua presenza opprimente, molte sceneggiature del cinema americano. Pur senza esserci, visivamente. Pur senza inserirsi in film prettamente di guerra. Ma, pesando e manifestandosi sociologicamente in pellicole drammatiche, melodrammatiche, a volte anche comiche, la cosiddetta “sindrome del Vietnam” ha spinto i registi ad un’urgenza più pressante della – più o meno variata – rievocazione e rielaborazione storico-realistica.

Che poi, dicevo, s’è comunque fatta viva a partire dagli anni ’80, come spiega benissimo Bruno Fornara in una digressione della sua recensione del 1988 che trovate qui. All’interno della quale, almeno fino al decennio 1980, conferma appunto il mio discorso di una “guerra misteriosa che c’è ma non si vede”.

La guerra in Vietnam, appunto, c’è e non c’è. C’è nel cervello di chi l’ha vissuta, di chi l’ha vissuta attraverso chi l’ha vissuta, delle conseguenze devastanti nella società statunitense, nei reduci. Ed il cinema americano, più che la guerra in Vietnam, ha seguito prevalentemente questo aspetto della guerra: le sue macerie sociali.

Certo, certo: c’è “Apocalypse Now”, c’è “Good Morning, Vietnam” (che però usa il mondo della radio, per raccontare la guerra), c’è Rambo, c’è il Kubrick di “Full Metal Jacket” (che però punta altrove).

Ma se vi concentrate sulle molte pellicole che direttamente – "M.A.S.H.", "Alice’s Restaurant", "The Visitors" e quelli già citati – o indirettamente (chissà quante sono!) hanno come perno, ombra, sfondo, elemento più o meno latente ma importante la guerra in Vietnam, riuscirete a condividere la mia riflessione.

A comprendere che il Vietnam è stato un batterio potentissimo per il quale la "semplice" rielaborazione teatral-realistica non ha potuto nulla. E che ha penetrato l’anima di sceneggiatori e registi per decenni. Sceneggiatori e registi ai quali non bastavano berretti e fucili.

Ai quali servivano il disagio, i reduci, il mistero di una guerra non detta.

Di una guerra, come ebbe a dire Hannah Arendt, “defattualizzata”.

E del resto è forse anche per questa ragione che il cinema medesimo almeno per i vent’anni successivi la fine “ufficiale” della guerra (solo due furono le pellicole girate a guerra in corso: “Commandos in VietNam" e "Berretti Verdi") è riuscito a parlarne solo per interposta sensibilità, attraverso gli effetti e le cause, più che tramite i mezzi.
E cioè a causa del fatto che il procedere e l’esito della guerra in Vietnam furono negati e nascosti, dai mass-media americani e mondiali (che d’altronde non avevano la capacità di copertura che hanno oggi) ma soprattutto dal governo statunitense, come ben si evince dai Pentagon Papers fatti predisporre dal Segretario alla Difesa dell'epoca Robert McNamara.

Insomma: le macerie sociali della guerra in Vietnam – personificate dai reduci, a lungo considerati scarti da zittire in quanto unici a poter raccontare come fosse andata, davvero – hanno invaso, pervaso decine di pellicole.

E spesso non ce ne accorgiamo nemmeno. Spesso, dalle copertine dai titoli dai dizionari di storia dle cinema, nemmeno lo capiamo.

Guardatevi “Un Mercoledì Da Leoni”: poi mi dite se è un film sul surf.

O non è, piuttosto, l’ennesimo, lancinante film sulla guerra in Vietnam

Anzi: CON la guerra in Vietnam. Dietro alle spalle. Dentro al cuore spezzato dei personaggi.


[Con questo lungo post inoltro il primo saluto di agosto - ce ne saranno altri due. Per qualche giorno sarò via, senza computer e comunque con la voglia di dimenticarlo, il computer, per un po' di ore. Ci si risente all'inizio della prossima settimana. Magari proprio lunedì].

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