9.6.06

Aforismi

Io amo parecchio le citazioni.
Alcuni barbosi docenti universitari/critici letterari/uomini di cultura le detestano (ma poi le usano a go go).

A me, invece, è sempre parso che nella forma dell'aforisma, in particolare (dell'aforisma, of course, felice, fortunato, ben architettato), alloggiasse il grilletto che conduce all'epifania nouminosa delle cose del creato.
A quel confine sfumato, estremo ed ultimo in cui pensiero e linguaggio si toccano, si sfiorano, senza riuscire - l'uno nei confronti dell'altro - a conquistarsi vicendevolmente. Avviene un breve e profondo corto circuito maieutico, e tutto torna poi al proprio posto.

D'altronde uno studioso come Giovanni Papini definiva questo particolare stilema locutivo "una verità detta in poche parole - epperò detta in modo da stupire più di una menzogna".
Dunque sono in buona compagnia.

La filosofia greca - nella sua origine orale, non a caso "aforisma" viene dalla parola greca "aphorismós" - ce ne ha lasciati molti. Ma in generale tutte le più grandi menti hanno avuto - prima o dopo - la necessità di cogliere con un gesto veloce della mano, quella farfalla concettuale che rischiava di fuggire nel Nulla del Mondo.

"Nel cuore di ogni aforisma - diceva, proprio attraverso un aforisma, lo scrittore austriaco Arthur Schnitzler, l'autore di "Doppio Sogno" - per quanto nuovo o addirittura paradossale esso possa apparire, pulsa un'antichissima verità".

Rimane celebre - ed ineguagliabile nel suo polimorfismo tematico - l'abilità di Oscar Wilde. Oltre che la assoluta "chiarezza aforistica" di Friedrich Nietzsche, che probabilmente non avrebbe saputo comporre altrimenti il proprio pensiero se non nella forma dell'aforisma. Grazie alla quale ha sostanzialmente scritto ogni sua opera. In particolare, in Nietzsche tutto sembra a prima lettura incomprensibile e tutto, al termine, si tiene assieme in una organicità inaudita.

Ma c'è un particolare che m'ha sempre suscitato un interesse maggiore: l'aspetto sintetico dell'aforisma. L'aggettivo è da intendersi sia in senso denotativo (cioè: l'aforisma è corto, sennò non è un aforisma, è altro) che connotativo.

L'aforisma esprime - e per questo è un genere preziosissimo - quanto risulterebbe mortificato da un'eccessiva trattazione. Cioè: secondo me esistono ambiti per i quali l'aforisma è proprio, adatto, predisposto ed altri per i quali non è in grando di funzionare.

Perché un aforisma è come quella situazione in cui, al momento dell'ennesima argomentazione da dare in pasto ad ennesime controargomentazioni, dai polmoni ci arriva aria sufficiente solo a farci respirare profondamente in preda ad un'improvvisa carenza di forze, ad uno spasmo di inattività.

E' in quel momento che arriva e serve l'aforisma, amico caro di una mente che (non) vuole sempre parlar troppo.

Perché se parlasse troppo si mortificherebbe.

0 hanno detto la loro: