LARRY ERA UN TIPO STRANO (sottotitolo: SUSHI)
Larry era un tipo strano. Altrochè.
Tutte le mattine, tanto per dirne una, scendeva in cortile – il cortile dov’era cresciuto fra le siringhe degli anni ’80 – e controllava dallo sfiatatoio della serranda avana del suo garage se i fari della sua Clio fossero spenti. Tutte le mattine. Non c’era scampo. Poi andava a comprarsi il giornale. E la prima pagina che andava a cercare era esattamente la quart’ultima: oggi in tv.
Era anche un po’ daltonico. Convinto di accostare un maglione blu scuro ad un pantalone celeste, si rendeva conto solo dopo aver acceso la luce che il maglione era in realtà di un vomitevole verde bottiglione. Ci cascava spesso. Poi si incazzava come un matto. Ma quanto s’incazzava non si sa. Però era troppo pigro, Larry: e alla fine lasciava stare, non gli andava proprio no di cambiarsi di nuovo. E teneva tutto com’era.
Larry Piredda, si chiamava. Ed era un metodico monastico. Ma anche un ragazzo – un ragazzo? - infinitamente solo. E forse questa metodicità proprio da lì, gli veniva. Da una solitudine nella quale stava benone. Come no. Ci stava davvero bene, dentro. Ci sguazzava.
Leggeva un sacco di libri – diceva sempre che i libri gli avevano salvato la vita. A chi lo dicesse, è un po’ difficile immaginarlo. Ascoltava pile intramontabili di cd. E poi li recensiva. Niente di serio: collaborava ad un blog chiamato “musirama”, o qualcosa del genere. Un semplicissimo hobby. Che lo faceva sentire un giornalista di quelli che la mattina si piazzano davanti al computer, ed ogni cd che scartano e recensiscono sono 20 euro a pezzo. Qualsiasi boiata scrivano.
Il problema era che non aveva potuto finire gli studi. O meglio: aveva preso un ottimo diploma – un diploma al liceo linguistico, tre lingue parlate discretamente - ma poi niente, l’Università proprio non aveva potuto iniziarla.
Il padre – Aristide - era morto dieci giorni dopo il suo compleanno dei 18 anni. E Larry s’era dovuto trovare subito un lavoro. Soldi, servivano. E servono ancora. La madre, Dina, faceva da sempre la commessa in un negozio un tempo di alta moda adesso ridotto a vender felpe con le stelle ai coatti di zona. Nel tempo libero stirava dalla signora al piano di sopra, Magda. Magda “la vecchia”. Puzzava, Magda.
Così aveva fatto un po’ di tutto, Larry. Prima il garzone in un bar – era lì che aveva riscoperto il chinotto e il succo di tamarindo. Poi era stato irretito dai facili guadagni promessi da un’agenzia immobiliare. Un’agenzia che prometteva di assumere senza esperienza pregressa. Senza niente. “Giacca, cravatta e domattina si inizia, Larry. Hai già i tuoi 50mila annuali (euro, nda) in tasca”. Dopo dieci giorni che girava come un cretino per la città tentando di convincere vecchie imputridite a vendere casa o almeno a firmare un accordo di nuda proprietà, lasciò.
Poi si fece vivo Sandro, Sandrone!, l’amico sveglio. Quello che – si sa come, si sa quando – te lo rivedi sotto casa ogni giorno con una macchina diversa. Ieri la smartina, oggi l’Slk, domani chissà cosa. “Larry, Cravatta, giacca e domattina si inizia. Hai già i tuoi dieci contratti mensili in tasca. Mi ti immagino”. Sandro l’aveva piazzato a vendere assicurazioni sulla vita dalle garanzie alquanto dubbie. Dopo dieci giorni che girava come un cretino per la città tentando di convincere vecchie imputridite a vendere la vita, lasciò. E Sandrone giù a riempirlo di insulti. Telefonate. Messaggini – anche se Larry il cellulare mica lo sapeva usare bene: “Mi sarei aspettato più virulenza da te. Peccato Larry”. Virulenza? Larry non aveva mai incontrato quella parola. Mai. Lo giurava.
Restava la pizzeria di Flora. Flora Stramazzi era un’amica di Larry. La figlia di amici di famiglia. Amici di famiglia ricchi. Che intorno ai 20 anni – di Flora – le avevano aperto un ristorante-pizzeria: “Da Flora”. Un po’ periferico, ma frequentatissimo. Amed, marocchino, ci faceva delle pizze da urlo. Soprattutto quella coi peperoni, funghi trifolati, salsiccia, pesto, noci e gorgonzola. Per non parlare dei dolci.
Ora: Flora era una gran figa, niente da dire. Alta almeno 175 centimetri. Capelli neri, di un nero scurissimo. Nero incubo, cazzo. Lineamenti che nemmeno quei due chirurghi mezzi froci di Nip/Tuck te li fanno così precisi. E a lei glieli aveva fatti madama Natura. Che culo.
Ovviamente, come in ogni storia che si rispetti, Larry era da sempre – da quando giocavano insieme nel salotto mentre i genitori prendevano il caffè di là – attratto da Flora. Non era innamorato, questo no. Nel senso che Larry francamente su queste parole – come Democrazia, Guerra, Guerra Democratica, Importare, Libertà, Laicato, Laicismo, Clericalismo - aveva sviluppato una problematizzazione a dir poco insuperabile. Con tutti i libri che aveva letto, aveva dimenticato cosa significasse innamorarsi. Cosa significasse Amore. Hesse gli aveva fatto girare le palle. Aristotele lo aveva a dir poco disorientato – aveva capito solo la Poetica. Rimaneva Roberto Gervaso. E francamente a Larry – anche se non era stato all’università, lo sapeva, per carità – di affidare le proprie idee su un tema così delicato a Roberto Gervaso proprio no, non gli andava.
Comunque: a Larry Flora piaceva un sacco. Perché era una gran figa. Vestiva sempre con dei tailleur che le stavano perfetti, muscle fit. Non era sfacciata, Flora. Nemmeno quel modello di donna che, ecco, lo sapevo, uno già sta lì a pensare che ci sta, come no ci sta, basta solo ronzarle un po’ intorno.
Stranamente, nonostante una madre recuperata dalla strada e un padre che dietro ad un franchising di gioiellerie – “Stramazzi – La gioielleria amica” - gestiva in realtà una piccola ma estremamente redditizia compravendita di armi dalla Russia rispedendole poi nei Balcani e in Africa sub-shariana attraverso altre miriadi di intermediari, Flora era venuta una persona per bene.
Per dirne una: pagava le tasse. Per esempio: era d’accordo con le liberalizzazioni del governo. Per esempio: apprezzava i Dico. Insomma: considerando madre, padre e fratello – in galera, uscito con l’indulto dell’estate prima e rientrato mentre rubava una macchina per tornare a casa che il pullman non passava -, Flora era una progressista. Una riformista. Altroché.
Così, ridotto miseramente a chiedere gli avanzi ai take-away di sushi, Larry si decise ad andare al ristorante. A chiedere un lavoro. La madre lo aveva spinto. Anche perché Larry aveva perso 8 chili in due mesi: non mangiava quasi più. Non sapeva più cosa diavolo mangiarsi. S’era mangiato tutto. Proprio tutto. E poi la madre s’era stufata di vederlo girare intorno ai take-away giapponesi: per il figlio aveva sognato qualcosa di più dignitoso, nella vita, che supplicare arroganti giapponesi per due microscopici trancetti di sushi. Bastardi.
Alla fine Larry andò da Flora. Flora quel giorno aveva le mestruazioni, quindi era scontrosa, stronza e gonfia. Però, nonostante Larry avesse avuto solo la forza di balbettare qualcosa tipo “Ciao Flora, volevo chiedert…”, gli offrì un lavoro. Il padre, dal Congo dove se n’era andato in pensione dopo aver venduto per una cifra astronomica tutti e 16 i punti vendita marchiati Stramazzi – La gioielleria amica, l’aveva chiamata. Aveva ricevuto una mail della mamma di Larry, Dina, che lo supplicava di togliere suo figlio dai take-away. Flora, dunque, sapeva già tutto.
Dalla sera dopo Larry iniziò così un nuovo lavoro. Il lavoro della sua vita. O almeno quello che ha fatto fino a qualche mese fa, fino al giorno in cui l’ho conosciuto. Larry si occupa con gran soddisfazione delle bevande del “Da Flora”. Carica e scarica le casse di Coca-Cola, Fanta, Birra in bottiglia Moretti e tutte queste cose che al supermercato costano 0,50 centesimi l’una e al ristorante 5 euro. Attacca alle 6 della sera, scarica le casse del giorno, ricarica sul camion – sul camion, via: sul furgone - quelle vuote con le bottiglie di vetro usate tutte appiccicose. Poi dà una pulita e se ne torna a casa.
Prima, però, passa dal garage e dà uno sguardo dentro, per controllare i fari.
25.2.07
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2 hanno detto la loro:
Che figata! ;-)
pure Flora, direi...
Ciao D
ma controllare lasera era troppo difficile?
proprio strano, sto larry
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