22.11.07

GIORNI E NUVOLE

Quanto dovrebbe essere importante per lei la fetta da dedicare al lavoro?”. “Dipende dalla torta”, risponde un disperato Antonio Albanese a un irritante selezionatore sbarbatello che lo sottopone all’ennesimo, infruttuoso colloquio. Giorni e nuvole marca – com’era stato per Brucio nel vento - una virata profonda nell’opera di Silvio Soldini: dalla favola urbana alla tragicommedia post-industriale. Sono lontani anni luce i colori tenui e le fughe veneziane di Pane e tulipani. Qui, c’è un inedito affresco dell’Italia che s’arrangia. Che vive di espedienti. L’Italia – scrostata come i mercantili di Genova, un po’ grigia e che però non molla mai – del chi si ferma è perduto.
Non si parla tanto di precariato, quanto delle conseguenze nefaste del guardare indietro, del sedersi ad aspettare. Del rallentare in un mondo di (finti) velocisti. Ma anche delle infinite contraddizioni del nuovo (?) mercato del lavoro. Un monstrum popolato da impieghi orribili (nel metodo e, spesso, anche nel merito), strafighe in minigonna che stanno dove stanno non si sa bene perché e prospettive-zero. Una rappresentazione acuminata e spietata, insomma, di cosa voglia dire trovarsi nel Limbo dei senza lavoro, oggi, in questo 2007 a tinte fosche e flessibili, se si hanno 50 anni – ma, a ben vedere, anche se se ne hanno molti di meno.

E allora Giorni e nuvole ci dà in pasto la storia alto-borghese di una coppia benestante costretta a sconvolgere la propria esistenza nel giro di ventiquattro ore o poco più. Michele viene fatto fuori dalla società che aveva creato lui stesso, anni prima. Elsa, che invece aveva lasciato il lavoro per conquistare un’agognata laurea in storia dell’arte, è costretta a inventarsi qualcosa – leggi: call center - e a riporre da una parte il restauro che tanto l’appassiona. Non c’è tanto il prima, nel film. Soldini - un flash in un cameo - non illustra il contrasto. Bensì, la profondità del disorientamento, della staticità, del disastro inatteso e dei modi diversi tramite i quali fargli fronte. Il durante, insomma: una specie di carotaggio che fa leva, da una parte, sugli inquietanti saliscendi emotivi di un grandioso Antonio Albanese. Che s’incazza, si perde, sbotta e s’assenta in maniera così credibile come solo gli umoristi autentici sanno fare. E dall’altra sulla migliore interpretazione degli ultimi tempi di Margherita Buy, finalmente nel ruolo di quella che si rimbocca le maniche e tenta di mettere un po’ d’ordine a una situazione da mani nei capelli.

Le questioni sono due. Giorni e nuvole vive quasi esclusivamente dell’equilibrio della coppia Albanese-Buy, pur sostenuta da una serie di buone spalle (Battiston). Coppia perfetta, che guida il film alla grande e gli garantisce dignità interpretativa. D’altra parte, sia per scrittura che per ambientazione è chiaro che è un lavoro che agisce sul sottotesto: c’è, dunque, da assimilare i bei tagli e le inquadrature (per esempio, il carrello al semaforo quanto Michele, pony express per disperazione, viene scoperto dalla figlia), le delicate camere a spalla, gli interni col loro senso di costipazione e asfissia. Succhiare, più che aspettare una svolta che non c’è.

Insomma: proprio come fa Elsa con gli affreschi su cui lavora, c’è da scoprire i colori e le figure che, piano piano, escono fuori dal un lavoro paziente di pulitura, restauro e valorizzazione. Per gustare così, da un lato, tutti i valori nascosti di Giorni e nuvole. E, dall’altro, la sentenza più spietata rivolta a tutti noi: c’è sempre un modo di rimettersi in gioco. Purtroppo. O per fortuna.

(22/11/2007) - © 2002 - 2005 Extra! Music Magazine. Tutti i diritti riservati

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