Oggi ho pianto. Con dolore. Con un dolore che - per mia fortuna - raramente avevo provato.
Ho pianto sul treno. Seduto su un sedile blu cosparso di rettangolini verdi: si, quelli dei pendolari. Quelli che ti portano all'università, al lavoro, al mare, al centro.
Ho pianto dopo un mese. Un mese dalla tragedia della ThyssenKrupp. A farmi piangere - e lo ripeto, questo verbo, perché va ripetuto - il lungo servizio del direttore di Repubblica, Ezio Mauro, tornato a vestire i panni del cronista per raccontare alcune drammatiche storture nostrane. E che, come ogni cronista dovrebbe fare, ha lasciato parlare la nuova casta di invisibili: gli operai.
Quelli che c'erano. Quelli che quando la linea 5 ha preso fuoco, hanno visto i loro colleghi trasformarsi nei poster anatomici che vedono quando vanno dal dottore. Con la pelle ridotta a cera e le terminazioni nervose mangiate dal fuoco.
Ho pianto perché ce ne siamo già dimenticati.
E se non li terremo sempre in mente, finiremo per trasformarci in bestie. Senza passato e senza futuro.
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4 hanno detto la loro:
Il guaio è che quei morti sono coloro che producono prodotto interno lordo. I nostri politici invece, fanno il tifo per nani e ballerine. Pensiamo un po' a quanti soldi escono dalle nostre tasche per dare loro champagne e caviale. Ai morti sul lavoro, pochi euro ai familiari.
come dice, tristemente, ellekappa nella vignetta di stamane:
"la classe operaia va in paradiso"
"ogni giorno, tre al giorno"
Anonimo hai ragione, davvero.
Anche se il Pil lo produciamo un po' tutti, a seconda del nostro impiego.
Ellekappa è sempre perfetto.
E' anche da queste cose che si vede la civiltà di un paese. E il nostro lo è un gran poco.
Ercole
P.s. Hai messo il link del mio blog errato...
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