*
La vicenda della Ferro-China Bisleri affonda le radici nella preistoria nostrana. Altro che reliquia: bisogna muoversi, per capire davvero l’exploit di questo prodotto, nell’archeologia chimico-farmaceutica. Tuffarsi, prima di finire ai soliti e benemeriti anni ’70, nell’Italia degli inventori, dei traffichini, dei colpi di genio e dei grandi successi proto-commerciali. Più o meno – tanto per dare un’idea ai metallari incalliti, che di storie sanno solo quelle dei Motorhead e compagni - siamo fra il secondo governo Crispi, il primo governo Starrabba e l’esordio di Giovanni Giolitti. In termini cronologici: l’ultimo decennio dell’800. Antichità del Regno d’Italia. Altro che storie.
Ebbene, proprio in quegli anni Felice Bisleri, il classico personaggio di quell’epoca - dotato ma indeciso, indaffarato, curioso e geniale –, dopo averne provate di tutti i colori, comincia a circondarsi di ampolle, dosatori e ingredienti farmaceutici. E ad esercitarsi nel mestiere dell’alchimista. Fa tombola quasi subito – quando è destino -, riuscendo a tirar fuori dal cilindro una miscela esplosiva di china e ferro. Una bevanda ibrida, che non si sa bene cosa sia.
Il successo fra la gente è immediato, tanto che il bresciano barbone è spinto a fondare addirittura una società. Inventa un giornale medico, fa auto-promozione, invia centinaia di flaconi gratuiti ai medici. Più tardi i suoi eredi metteranno in piedi un ricco assortimento di gadget (vassoi, bicchieri marchiati). Marketing ante litteram, e vengano a parlarmi di viral marketing e boiate di questo tipo. Insomma: la Cola Cola italiana, in quanto a popolarità e a strategie industriali. Oltre che ad origini.
La situazione, con i dovuti accorgimenti del caso ma senza mutazioni esiziali, rimarrà la stessa per tutto il secolo – ancora oggi, a ben vedere, qualche bottiglia da un litro si scova. E, in particolare, fra anni ’60 e ’70, quando la Ferro China Bisleri va assommando un elemento fondamentale alle sue già prorompenti qualità: diviene una sorta di miracoloso ricostituente. Siamo negli anni del boom del Gerovital H3 – una vera e propria mania internazionale, dagli esiti abbastanza deludenti - che dalla metà degli anni ’50 avrebbe attirato in Romania schiere di vecchioni da tutto il globo. Compresi Paul Getty, Conrad Adenauer e Charles de Gaulle. Sembra insomma che anche le epoche, i trend e le mode siano state – per tutto il Novecento e in particolare nei decenni in questione - dalla parte della famiglia Bisleri. Che successivamente avrebbe allargato le proprie attività anche in Asia. In particolare, in India, dove Bisleri è forse l’unica parola italiana comunemente compresa dai miliardi di indiani, che la associano all’acqua potabile che la società distribuisce in bottiglie e o distributori a chi, laggiù, può permettersi lussi di questo genere. Insomma: Ferro China diviene, come poco più tardi il caffè Borghetti, presenza imprescindibile nelle case dei nostri nonni, ma anche padri.
Ricostituente, digestivo, reintegratore in anticipo sui tempi. Ma anche – quanti sono partiti dalla Ferro China per poi virare pericolosamente verso articoli e alcolici assai più pesanti? – un semplice liquore. Un aperitivo. Un intermezzo. Ogni momento della giornata-tipo degli anni ’70 era buona per un sorso dell’oscuro e tenebroso intruglio. La classica via di mezzo fra bevanda, rimedio para-farmaceutico – d’altronde, tanto per tornare all’inizio: forse la stessa Coca Cola non nasce più o meno in questo modo? – e prodotto di moda. Tanto che avrebbe dato il via, sin dagli inizi e per molto tempo, a una sfilata di imitazioni, riproduzioni o, comunque, prodotti messi a punto sulla scia del ricostituente inventato da Felice: basti pensare alla Ferro China Baldi o a quella Risieri (“che preserva contro le febbri prodotte da malaria”) e la Baliva. Insomma: più che una reliquia, la Ferro China è stata una delle tantissime invenzioni che hanno regalato all’Italia il titolo di creatività industriale e commerciale nel secolo scorso.
Molto più del caffè, la Ferro China è stata per anni anche un rimedio per la memoria di studenti e impiegati. Che ne hanno ingurgitati litri e litri, nella (flebile) convinzione che potesse migliorare le loro prestazioni professionali e di studio. In fin dei conti, la voglia di doparsi c’è sempre stata.
15 hanno detto la loro:
ho letto con ineteresse il suo articoloper me molto interessante perchè sto cercando notizie sull'attività della ditta Bisleri a Napoli tra la fine dell'800 e i primi del '900. in quel periodo avrebbe dovuto essere socio un certo Giuseppe Villoresi (i cui figli sono nati a napoli)- forse interessata era la moglie di nome Beretta -poi la famiglia è tornata a milano città originaria.Grazie
gioaster@libero.it
Complimenti, molto bello questo racconto a metà tra la cronaca e il romanzo. io volevo sapere quanti gradi alcolici fa questo liquore, perché dai 7 ai 10 anni ne devo aver bevute di bottiglie. non so dire se mi abbiano effettivamente giovato ne per il ferro ne per la memoria.
Grazie
Antonio
Questo amaro-aperitivo mi pare abbia la bellezza di 21 gradi. Difficile da interpretare al primo sorso, ma successivamente, diventa una continua scoperta di sapori che vengono a crearsi sul palato..mentre la mente si sforza di capire a quale gusto fa riferimento quel sapore.. Un caro amico lo definì così: "è come leccare un cancello di ferro.."
Devo averlo :P
Vorrei sapere se nei primi anni del novecento esisteva una fabbrica, o un punto vendita, della Ferrochina Bisleri in Via Novara a Roma. Ne sentivo parlare spesso da mia nonna che abitava in quella strada. Se è possibile mi piacerebbe ricevere delle notizie o, ancora meglio, delle foto d'epoca. Grazie. La mia email è: c.trictrac@email.it
Mi ricordo che da ragazzino d'estate mi facevo un bicchierone di ghiaccio con Ferrochina Bisleri..sapori anni '70
Ne ho acquistata una bottiglia oggi dopo che un mio amico me ne ha dato un campioncino vecchio di anni. L'ho trovata senza problemi all'Interspar di Adria...
ahhha bellissimo tra storia e fantasia; il Bisleri, nato a Brescia, Garibaldino, non era sicuramente un poveretto poichè piazzò il suo prodotto all'interno delle farmacie del Regno. Si trasferì stabilmente a Milano e divenne socio con il 35%del capitale della nascente CAMPARI e C. la nota casa produttrice del Campari Soda.Fu il primo che credette nella pubblicità che allora si chiamava con un francesismo "reclame", coinvolgendo il futurista Depero,per i manifesti e fu la prima pubblicità che apparve su Corriere della Sera, che editava 65.000 copie. All Muller su FB
Mia nonna ,classe 1911 , mi raccontava che da bambina ,sui 7 8 anni , visto che sua madre la trovava un po' pallida alla mattina le somministrava ,a colazione ,prima della scuola ; il caffellatte col tuorlo dell' uovo e il ferrochina bisleri !
Come mai non è più commercializzata ed è introvabile????
La Diageo che la distribuiva l'ha tolta dalla distribuzione, ma nessuno sà piu'il motivo.......
Buongiorno, credevo di essere l'unica vittima che da bambino ha dovuto ingurgitare bicchierini mattutini di Ferrochina, ma da come leggo sono in buona compagnia.
Adesso che ho tanti anni in più, oltre a ridere dei tempi passati e dei "compagni di bevute " questi ricordi mi fanno tanta tenerezza.
Ovviamente sono praticamente astemio, ma ho tanto ferro nel sangue.
Un abbraccio a tutti
Vincenzo
Che nostalgia...
Mia madre me la fece conoscere nell'ovetto sbattuto.
Poi crescendo ne prendevamo un po' di nascosto con mio fratello dai nonni, ché erano più facili da aggirare! :-)
Ricordo con molta nostalgia quando nella mia valigetta, (partivo per il militare), mia madre mise una bottiglia di questa prestigiosa bevanda, debbo riconoscere che mi fu utile.
Ho trovato una vecchia pubblicità del liquore Psiche, sempre della Bisleri, ma in rete non c è proprio niente. Dato il nome sarei curioso di conoscerne gli ingredienti, visto che ai tempi andava il laudano. Stefano - Imola
è stato rimesso in commercio, la Caffo (Anaro del Capo) ne ha acquisito il marchio
Posta un commento