1.12.05

Gorgia e la parola-rapitrice

Nulla esiste, e se anche esistesse non sarebbe conoscibile, e se anche fosse conoscibile, nessuno potrebbe darne conoscenza a un altro, per il fatto che le esperienze non sono parole, e che nessuno riesce a farsi una rappresentazione concettuale identica a quella di un altro.

Gorgia, in "Breve storia della bugia", Maria Bettetini, Raffaello Cortina Editore, 2004

Così: questa proverbiale reductio ad absurdum tanto per dare una bella botta a chi si sente sempre sicuro di tutto.
Dei sentimenti degli altri, delle verità (la verità? coincidenza di fatto ed intelletto, è inarrivabile: preferisco veridicità), dell'oggettività, dell'Amore, della Vita, del Perchè.

Maestro sofista, il retore greco nato a Lentini nel V secolo a.C., aveva già capito tutto.

Di grande interesse il suo (?) "Encomio di Elena", in cui il filosofo difende la moglie dello spartano Menelao per esser fuggita con Paride (per fortuna: a loro due dobbiamo Troia), dal momento che - semplicemente - non è colpevole. In quanto, come che sia andata, ha dovuto sottostare ad un principio a lei sovrastante.

In particolare, se anche s'è lasciata convincere dai discorsi del pastore, non è imputabile:

La parola è una potente signora, che pur dotata di un corpo piccolissimo e invisibile compie le opere più divine: può far cessare il timore, togliere il dolore, produrre la gioia e accrescere la compassione

e soprattutto - continua Maria Bettetini nel suo testo - può far violenza all'anima, persuadendola su qualunque argomento indipendentemente dalla volontà di chi ascolta.
Se dunque Elena fu sedotta dalle parole, fu sedotta con violenza, e va ugualmente compatita come se fosse stata materialmente rapita e sottratta al marito.

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