26.8.06
Fast-lives
Un fotogramma tratto dalla sequenza iniziale del film "Volver", di Pedro Almodovar, ambientata in un cimitero della Mancha.
Non so se vi è mai capitato di girare per un cimitero in cerca di una tomba, senza ovviamente riuscire a trovarla. E così perdendovi in quell’assoluto cataclisma emozionale che è, appunto, il luogo (sacro e profano al contempo) in cui riposano i morti. Tutto ciò, magari, in piena estate, ad un’ora dalla chiusura, vialetti deserti.
A me è capitato questa mattina. Cercavo il posto in cui è sepolto il giovane volontario ucciso a Gerusalemme, mio concittadino e conoscente. Non ho trovato nulla. O meglio: ho trovato anche troppo.
Il cimitero di Monterotondo fino a fine agosto rimane aperto solo fino alle 13. Quando sono arrivato, stamattina, erano le 11,45. A Ferragosto, quando è stato celebrato il funerale di Angelo Frammartino, ero in vacanza. L’unica cosa che mi rimaneva da fare – ho pensato in quei giorni – sarebbe stata di andare al cimitero appena rientrato in città.
Non ho trovato la sua foto. Ho girato per oltre mezz’ora rapito da un vortice allucinogeno di rara intensità.
Ho visitato mio nonno, mai conosciuto ma al quale mi sento molto vicino. Ho ritrovato amici, parenti degli amici, amici dei miei genitori, facce che nel corso degli anni ero abituato a scorgere al seguito di mia madre e volti del tutto dimenticati.
Ho scorto decine di giovani, giovanissimi, gente della mia età, gente ancora più piccola, ragazzi e ragazzini avvolti da quelle fastose maioliche, quelle foto gigantesche che prendono sempre più piede nel triste arredo cimiteriale.
Vecchi in lacrime sulle tombe delle mogli, giovani vedove, bambini e pure una mia professoressa di inglese di anni fa, pochi mesi, che ovviamente non mi ha riconosciuto.
Dicevo che è passata oltre mezz’ora senza che me ne accorgessi. Mi sono ritrovato spaesato e disorientato – nonostante conosca abbastanza bene quel posto e mi ci rechi spesso – e con una notevole sudata a visitarmi le ascelle, stimolata dai continui microshock emotivi rappresentati da molte di quelle tombe.
Però ho poi riflettuto e concluso che girare nei cimiteri è senza dubbio propedeutico al recupero della massima occidentale – che mai dovremmo dimenticare – dell’hic et nunc. Del recupero dell’importanza del “qui ed ora”. Della necessità certo di vivere su lunga scala, di programmare e di arroventarsi le meningi su progetti e questioni di spessore. Ma anche e contemporaneamente il fondamentale richiamo a vivere il più possibile le nostre fast-lives con un minimo di decenza rispetto all’empatia e importanza del qui ed ora.
Credo bene che un’anima e sensibile e martoriata come quella del Foscolo si trovasse bene nei Sepolcri. Perché aveva capito quello che molti si ostinano a non capire: la morte è un punto d’arrivo invalicabile, rispetto alla quale ciascuno innesta poi le proprie credenze sulle quali si potrebbe discettare all'infinito. Ma ciò non toglie che agisca da stimolo all’hic et nunc proprio perché con esso stride e stona, cozza insofferentemente. L'una esclude l'altro.
E allora, paradossalmente, un giro nel luogo della morte può essere uno dei più vivi inviti al fare e all’agire senza perdere le prospettive di breve raggio, oltre che di lungo raggio.
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