9.12.06

Buchi neri della democrazia


Quello dei Cpt è un problema molto serio, per l’Italia.
E’ un problema serio poiché la necessità di identificare chi arriva in Italia è imprescindibile. E però è anche vero che questo tipo di azione debba essere portata avanti nel rispetto anzitutto del nostro diritto e poi dell’umana dignità. Troppo spesso, infatti, i Centri di Permanenza temporanea assomigliano – nella prassi e finanche nelle forme – a dei piccoli-carceri piuttosto che a luoghi dove poter espletare necessarie quanto difficoltose pratiche burocratiche (“Il sistema è diventato un’estensione del carcere giudiziario” affermava non oltre tre anni fa Medici Senza Frontiere). Anche l’Europa se ne è accorta, e ci ha inviato degli osservatori, tempo addietro.

Ora, senza inoltrarmi nella discussione sul come poter far fronte a questo compito – che, lo ribadisco, mi pare essenziale non tanto politicamente quanto ragionando in punta di diritto – voglio solo sottoporre un paio di osservazioni niente affatto collaterali e che però mi pare vengano spesso sottovalutate.

1) Anzitutto: nei Cpt finiscono in maggioranza coloro che arrivano via mare attraverso le rotte africane e dal Medio Oriente. Tutto il flusso migratorio proveniente dall’Europa dell’Est, dai Balcani o comunque via terra ne rimane praticamente escluso. Basta una macchina, un autobus, addirittura un aereo e si varca la frontiera. E’ come tappare un formicaio con un dito: si apre subito un nuovo buco poco vicino. Mi spiego meglio: in teoria nei Cpt dovrebbero finire tutti gli immigrati intercettati in territorio italiano. Di fatto tutti sappiamo che sono divenuti i dormitori di coloro che sbarcano nelle coste siciliane.
2) Spesso si dimentica l’aspetto velleitario della pratica d’identificazione: sono documentati casi di immigrati clandestini che hanno dichiarato decine di identità e nazionalità differenti, a seconda della convenienza dal punto di vista dell’ottenimento dello status di rifugiato politico. E tutti, ovviamente, arrivano in Italia senza documenti – fermo restando la scarsa affidabilità anche laddove li presentassero.

Questo per dire che, al di là della necessità assoluta di mettere una pezza al più presto alle storture che affliggono quei piccoli carceri, dove una fuga si scambia in soldi, dove sono documentati trattamenti lesivi della dignità umana (stupri, vere e proprie detenzioni, etc.) e dove, soprattutto, si applica una gestione repressiva e non regolamentativa, il medesimo istituto del Cpt è sostanzialmente inutile.
Insomma: i Cpt – che peraltro in Italia sono 17, con una capienza totale che supera di poco i 2mila posti, dati che fanno ridere – partono già sconfitti, rispetto al fenomeno che devono regolamentare.

Personalmente mi trovo in una posizione piuttosto tribolata (come tutti, credo, al di là delle posizioni politiche): da un lato la necessità statuale di rivendicazione dell’autorità, e quindi l’obbligo assoluto di identificare chi entra nel nostro paese. Dall’altra l’oggettiva constatazione dell’inutilità e, non secondariamente, della mutazione drammatica che questi centri hanno vissuto nei pochi anni dalla loro introduzione, nel 1998, a seguito dell’approvazione della cosiddetta legge Turco-Napolitano.

Rimane però il fatto che chi, come il deputato di Rifondazione Comunista Francesco Caruso, si barrica all’interno dei Cpt per protesta, continui da anni a denunciarne le storture ma a non disporre di uno straccio di alternativa in mano. La domanda infatti rimane la seguente: se chiudiamo i Cpt – che si, sono in gran parte inutili, ma come tutti gli snodi identificativi (le dogane, i confini, gli aeroporti) garantiscono quella parvenza di verifica cui uno Stato non può abdicare: equivarrebbe a rinunciare a definire i confini – cosa ci inventiamo per questo difficile compito?

Insomma, cari Carusi che giustamente definite i Cpt “buchi neri della democrazia”: io sono d’accordo con voi. Chiudiamoli. E poi cosa ci mettiamo, al posto dei Cpt?

Un dilemma di diritto, di umanità e poi di politica che – e questo è un male – sta diventando una sorta di tabu con cui la destra martella la sinistra, che d’altronde anni addietro ha introdotto l’istituto. Un tema che meriterebbe un approccio scevro da “ideologizzazioni” e pregiudizi, notoriamente impossibile – da una parte e dall’altra - nel nostro paese (tto).

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