14.7.07

ADESSO TIENIMI: FLAVIA PICCINNI, MARTINA E I GIOVANI CHE MUOIONO

Vi lascio al lungo e caldissimo fine settimana con la recensione di un libro importante. Un testo fulminante, cattivo e caldo. L'ha scritto la giovane Flavia Piccinni (qui a fianco) e l'ha pubblicato la benemerita Fazi. Il mio pezzo è stato pubblicato stamane su Extra! Music Magazine. Perché il Paese non sa che fine stanno facendo i suoi giovani. No. Non lo sa.

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Flavia Piccinni - "Adesso Tienimi" - 2007 Fazi Editore/collana Le Vele

Mentre succhiavo questa specie di cataclisma dell’inedia affettiva contemporanea, la memoria chiedeva permesso alle ossa del mio cranio. E martellava suggerendomi incessantemente di recuperare il quadro di un giovanissimo artista, Thomas Ray, intitolato Amour Fou. E’ inenarrabile: bisogna osservarlo qui.

In effetti non sbagliava, la mia memoria. E’ la traduzione pittorica spaccata di “Adesso Tienimi”. Perché proprio di un amore folle – cattivo, spietato ma unico tassello Vero e totalizzante in una vita stravaccata e fissa sul grigio – parla il dirompente romanzo d’esordio della ventenne tarantina Flavia Piccinni. Un amore che ha rotto tutto. Ha distrutto senza salvezza. Trascinando nella melma anche il (possibile) finto equilibrio di una vita normale.

Devo dire la verità: l’ho letto fra le due e le tre di notte, ed ogni notte mi ha creato seri problemi d’addormentamento. Perché la Piccinni – la sua Martina, protagonista, è una diciassettenne – sbatte in quelle 177 pagine una glacialità ed una secchezza di stile che a tratti sfiorano la nausea da vomito. Picchia durissimo, la giovane scrittrice. Non ha pietà per Martina. Men che meno per i suoi lettori. Dipinge (dipinge?) una Taranto che è icona di tutto il Sud Italia in via di putrefazione. La mediocritas imperante di un sistema allo sfascio che s’è scordato dei giovani e li manda a riempirsi di canne, attento ai suoi inutili cerimoniali – sotto questo aspetto, magnifica la parte relativa alle celebrazioni pseudo-cattoliche della Settimana Santa.

Non ultimo, un sistema scolastico allo stremo, che non ce la fa ad accogliere i suoi figli più delicati – e complicati. Quelli ai quali dovrebbe invece prestare più attenzione.

Figli come Martina, quella che gira vestita come una stracciona. Quella che chiama la madre e il padre per nome, Michele e Adriana. Quella che nell’anno della maturità diventa l’amante – più di un’amante - del suo professore di matematica. Una storia maniacale, lancinante. Tutta concentrata nei pochi mesi precedenti il suicidio del prof - ma questo lo scopriremo dopo.

Le pagine del romanzo ci fanno vivere esattamente il lungo e mortificante periodo post-suicidio, senza inizialmente svelarci il motivo di tanta acredine morale. Nel quale Martina, molto semplicemente, non vive più. E’ abile, qui, la Piccinni: Martina non può rivelare a nessuno la sua perdita. E’ condannata a vivere tutta nel suo petto una morte inspiegabile, che le ha tolto il mondo. E l’autrice, quel soffocamento, quella faccia schiacciata sul cuscino che ti manca il respiro solo ad immaginarla, la sa scrivere da Dio.

Per non parlare della socialità di Martina, trascinata in giro da quella guida rincoglionita ed infantile che è, guarda un po’, il suo amico Virgilio icona lui di un’altra fetta di gioventù: quella che non cresce mai. Si snoda fra corse forsennate in motorino, bevute insensate e gite autodistruttive. Si trascina in giro. Vive ipnotizzata davanti agli annunci di eBay, aggiornando continuamente le pagine ed imparando a memoria gli annunci.

Insomma: è la cronaca chirurgica di una giovane non-Vita sventrata dalla perdita dell’unica cosa vera mai conosciuta. L’amour fou in un mare di merda – incorniciato dall’Ilva rossa di Taranto.

E’ un romanzo all’apparenza istintivo. In realtà, c’è un lungo e maniacale lavoro di sottrazione. Si sente che quelle righe sono scavate come i polsi feriti della sfortunata Martina. E’ allo stesso tempo un ultimo grido d’allarme – a chi sia rivolto, poi, è tutto da verificare – ed un testamento generazionale arrivato fuori tempo massimo. Di un paese spaccato fra chi può tutto e chi non può un cazzo. Fra i vecchi che non vedono e i giovani che s’ammazzano di canne (per riempire una vita vuota). Tosto per uscire dalla testa di una dell’86. Ed è al contempo vero che solo una classe ’86 poteva scrivere un manifesto di un paese che muore – perché muoiono i suoi giovani - come “Adesso Tienimi”.

2 hanno detto la loro:

silvia ha detto...

fazi è una gran casa editrice, sa scoprire questi talenti. lo leggerò, appena torno

Maurizio ha detto...

Complimenti alla scrittrice... nel racconto fà percepire le emozioni (gli odori, i sapori, etc) da terza persona come immagginare di essere presente sulle scene... necessitudini dei protagonisti vittime di tragicità, malinconia... brava, un bel genere, un libro dettagliato nelle sue svariate forme... Scrivi qualcosa sulla Sicilia.