8.11.07

L'IMBARAZZO DELLA MEMORIA: IL DILUVIO ICONOGRAFICO DEI NUOVI MORTI

Ormai sappiamo tutto. Cioè: è totalmente cambiato il confezionamento dell’omicidio. Le sue prassi. Pre-parative. E post-interpretative. Ora. Per uno che ha studiato giornalismo, un assassinio significa(va) – se andava bene – una foto sbiadita, spesso quella della patente o di una vecchia gita al mare. Le uniche testimonianze iconografiche disponibili riguardo un morto sconosciuto – ma non è che sui celebri ci fosse poi tanto materiale in più.

Pensate un attimo a Simonetta Cesaroni o ad Alberica Filo Della Torre: sono anni che ci portiamo dentro quei volti. Solo quei volti. Quelle uniche pose che i mezzi di comunicazione continuano a proporre a ogni minima novità delle indagini o negli anniversari. Rispolverando i casi insoluti. O i più efferati. Ma – in un ipotetico catalogo iconografico – non abbiamo altro. L’immaginazione e il ricordo si legano a uno scatto specifico. E basta.

Adesso, ormai, ogni morto ha un blog. C’è sempre un blog – al più, una pagina My Space, un account You Tube, un qualche album digitale su Flickr e via cianciando – nel quale scavare. Dal quale ricavare fotografie – se non filmati: ultimo, il finlandese che ha sterminato otto compagni a scuola ieri oppure Hina Saleem, la giovane pachistana di Brescia massacrata dalla famiglia della quale si trovarono in rete filmati davvero inquietanti.

Ma ci pensate un momento? A cena, Tiziana Ferrario – o da soli, su internet – ci mette di fronte testimonianze gelide e agghiaccianti (tanto quanto sono calde e recenti, troppo) di una vita che non c’è più. E che, nel peggiore dei casi, quel non esserci più l’aveva preventivato, pianificato e registrato. Dopodiché, messo a disposizione su internet – penso ancora al finlandese, che aveva ripreso le sue prestazioni al tiro con la pistola e montato folli filmati di sterminio.

Poi, chiaro. I media tradizionali – un po’ per difendersi, un po’ perché non capiscono un cazzo, un po’ perché è vero – tendono sempre ad affrontare la questione con quel tono a metà strada fra il bislacco e il terrorizzato. Ho sentito parlare di My Space – che è solo un giocattoletto elettronico – in termini terrificanti. “Aveva addirittura un blog. Dentro, le foto della sua gita al mare”. Embè?

Il cortocircuito, semmai, è sempre semiotico. Viene sempre dal dato semplice, non aggregato. Il problema, quasi, non è il blog (o la pagina My Space o altro). E’, piuttosto, la sovrabbondanza iconografica. La difficoltà della mente di legare l’evento ad uno scatto. Per i nostri genitori era più semplice ricordare – erano aiutati da una informazione. Non importa se la più esaustiva: l’unica disponibile.

Per noi è un’impresa risalite alla scorsa settimana (sottinteso: facendo a meno di Google).

Appunto: l’imbarazzo della memoria arriva laddove ci ritroviamo a disporre di una quantità direi IMBARAZZANTE (nel vero senso della parola) di documenti che, una volta (se c’erano), rimanevano privati. E oggi sono pubblici. Allo smercio. Oltre che dinamici. Ci risulta infatti difficile realizzare che si sta parlando di una morta (o che ci sta parlando una morta), se la sera dopo – col petto di pollo davanti – ce la ritroviamo sorridente nel filmato girato dal fidanzato mentre si fanno il bagno a Santorini. Qualcosa non torna. Dai.

E qui si lega l’altro aspetto. Non vi è capitato di rimanere totalmente imbarazzati, di fronte a questo tripudio d’immagini? Ad esempio in questi giorni, con l’omicidio dell’inglese Meredith Kercher a Perugia. Tutte quelle immagini postate su Flickr la sera prima della sua morte mi sembrano davvero troppo – che poi, guarda caso, sempre qualche festa c’è di mezzo e la tragedia assume tinte ancora più drammatiche e misteriose.

Mi sembra di entrare in casa dei genitori senza bussare. Di infilarmi in una cameretta disabitata senza permesso e frugare fra i ricordi di un morto ancora caldo. Per non parlare dei blog dei suoi (presunti) assassini, smerciati su tutti i mass-media.

Sono per la censura. Cancelliamo la scia elettronica delle vittime di omicidi. E’ assurdo che un album di foto su Flickr sopravviva al suo proprietario. Lo so: è una nuova regola del gioco semiotico. Se io pubblico, corro i rischi di un uso improprio dei materiali che diffondo – anche da morto.

Ma è di un’inumanità inconcepibile.
Ed è dolorosissimo. Per gli occhi e per la testa.

5 hanno detto la loro:

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
silvia ha detto...

concorso, in parte. ma basterebbe non accendere la tv, alle volte. o non visitarli i blog di questi poveretti. la rete può essere un'incredibile risorsa o un mostro. la scelta è quasi sempre nostra.

Anonimo ha detto...

good start

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie