Ieri è stato diffuso il V rapporto di Federculture, l’associazione nazionale dei soggetti pubblici e privati che gestiscono le attività legate alla cultura e al tempo libero diretta da Giorgio Van Straten. Inutile dire che il quadro che ne esce, come al solito per questo martoriato paese, è in chiaroscuro tendente al fuligginoso.
Il dato fondamentale è che non riusciamo, come amano dire tanti top manager, a “fare sistema”. La produzione culturale – e addirittura l’esportazione – sono floridi, il punto è che non si riesce ad architettare una struttura adeguata per offrirla. Ecco dunque che balzano fuori dati solo apparentemente contraddittori, tipo la nostra leadership nella produzione del design e la seconda posizione per esportazione di “prodotti creativi” (dall’artigianato agli audiovisivi ai new media) che cozzano con «una visione della cultura ancora identificata quasi escplusivamente con la conservazione del patrimonio artistico, o piuttosto legata al tempo libero, quasi sempre considerata una spesa più che un investimento». Qualche numero chiarirà la situazione: l’Italia è al 17° posto in Europa per quota di Pil destinata a investimenti in ricerca e sviluppo e la nostra migliore univerità si colloca alla 173° posizione nella graduatoria dei migliori atenei del mondo.
Il bilancio dei Beni culturali, come avevo già avuto modo di anticipare su Inside Art di questo mese, subirà tagli sostanziosi. Da sempre fanalino di coda, la manovra triennale di Tremonti sottrarrà al ministero 900 milioni di euro, e altri 150 sono già stati detratti dalle voci legate allo spettacolo e alla tutela del paesaggio per tagliare l’Ici. E anche sperare nei privati – come auspica il neo ministro Sandro Bondi – è cosa vana: in Italia la cultura resta il settore dove investono di meno: il 15% contro il 63% dello sport e il 22% della solidarietà. Tuttavia grazie ad alcune agevolazioni fiscali, negli ultimi due anni i finanziamenti privati – in testa le banche - sono cresciuti del 5%.
Nonostante alcuni progetti come il Creative brain, new talents for the new economy (10 milioni di sterline per 5mila nuove occasioni per giovani creativi e istituti di collegamento scuola-lavoro) messo in piedi dal governo inglese siano purtroppo inconcepibili da noi, la voglia di cultura c’è e tiene. Nel 2007 le famiglie italiane hanno speso alla voce cultura 61,5 miliardi di euro (+2,3% sul 2006), il 6,83% del bilancio famigliare, che è comunque molto al di sotto della media Ue a 27 (9,4%). Cresce il teatro (+23% negli ultimi 10 anni) e i concerti (+17,3%). Tutto sommato i prezzi di concerti, musei e teatri crescono solo del 3,3%. Tuttavia, per scovare il primo museo italiano in termini di visitatori bisogna scalare al settimo posto (Musei Vaticani), molto dietro al Louvre e al Centre Pompidou di Parigi.
Infine qualche nota sul turismo. Nel 2007 ci siamo piazzati al quinto posto per attrattività e grado di notorietà internazionale, dietro ad Australia, Usa, Uk e Francia. Questo nonostante stazioniamo ancora al primo posto per il patrimonio artistico e culturale e al secondo per quello storico.
Ne esce insomma un quadro confortante sotto il profilo della sostanza: creativi, giovani e famiglie tengono botta. Si produce, si realizza, si concepiscono nuove idee. Diviene però un problema mettere a frutto questi spunti, concedersi un concerto in più, fare della propria passione un mestiere serio e che trovi sbocchi essenziali. Scovare risorse e opportunità. Non è un caso che, guarda la coincidenza, un giovane artista romano, Matteo Basilè, mi abbia detto poco tempo fa durante un’intervista per un’inchiesta che uscirà su Inside Art di settembre, che Roma e l’Italia sono luoghi magnifici per creare. Ma diabolici per fare dell’arte un mestiere.
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2 hanno detto la loro:
pensavo molto peggio
Per quanto mi riguarda, basta quella 173° posizione della nostra prima università a farmi crollare le braccia.
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