13.12.08

HAPPY GO LUCKY: SORRIDI ALLA VITA!

Poppy è una trentenne decisamente sopra le righe. Sorta di folletto dalle mille movenze, la metropoli è per lei palcoscenico di smercio per larghissimi sorrisi e programmatici slogan di reciproco amore. Primo fra tutti l’immancabile “sorridi alla vita!”. Hippie fuori tempo massimo, la rachitica e frizzante insegnate d’asilo veste sgargiante, condivide un appartamento zeppo di cianfrusaglie con un’amica-collega, si ubriaca in discoteca e, of course, non s’incazza mai. Se ci pensate è proprio lei, la vostra amica dinoccolata che non sentite da tempo: per fortuna (quasi) tutti conosciamo una personal-Poppy.

Mike Leigh – l’esperto regista di Segreti e bugie e del Segreto di Vera Drake, per dirne un paio – scaraventa Poppy e le sue sgangheratissime comprimarie in una Londra popolare un po’ troppo soleggiata e pacata per apparire credibile. E, come in ogni fiaba che si rispetti, ne fa incocciare il sentiero con gli immancabili personaggi: il bruto (l’esaurito e mitomane istruttore di guida Scott), il principe azzurro (l’assistente sociale rimorchiato a scuola), la dama di compagnia (la coinquilina, sarcastica bruttina stagionata) e via elencando. A tutti, Poppy – una deliziosa Sally Hawkins - propone la sua irresistibile ricetta a base di solarità indiscriminata. Convinta, quasi con la stessa rivoluzionaria ottusità di una novella Don Chisciotte dei nostri stressati tempi, che tutto possa e debba risolversi per il meglio se affrontato con un sorriso a 32 denti. Cosa che in effetti avviene, soprattutto nell’unico snodo oscuro della trama, quando la commedia rimane per un lungo attimo in bilico sul crinale del dramma.

Come tutti i film super metaforici, stracarichi di morali e insegnamenti reconditi, Happy go lucky può essere letto secondo due livelli complementari. Se ci si ferma alla superficie può piacere o no, ma - a parte le ottime scelte di regia, che vivacizzano una sceneggiatura costruita per la quasi totalità sui dialoghi – rimane oggettivamente piuttosto esile. Se invece si seguono le vicissitudini urbane della povera Poppy con occhio smaliziato e vispo, tentando di appiccicare un’etichetta azzeccata a ogni sequenza del film e di trarne il giusto motto, allora la pellicola funziona. In entrambi i casi, tuttavia, rimane un po’ d’amaro in bocca per i soliti motivi. Primo: lavori di questo tipo smarriscono per strada almeno la metà del fascino linguistico se tradotti e doppiati. Secondo: il mood comico, nonostante la straordinaria prova della gommosa Sally Hawkins, rimane forse troppo stinto e avrebbe avuto bisogno di qualche succoso passaggio in più, qualcosa di più esilarante e spassoso che non una gioiosa spaventapasseri della pace in giro per una Londra cartonata.

Rimane comunque una consapevolezza piuttosto straziante, alla fine: ce ne fossero a frotte di Poppy così, il mondo sarebbe senz’altro più incasinato, ma anche infinitamente più colorato.

Pubblicato anche su Extra! Music Magazine.

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