10.12.08

GIUSY E GLI ALTRI FENOMENI: INTERVISTA A FABRIZIO GIANNINI

Intervista a Fabrizio Giannini, discografico e talent scout, scopritore di Giusy Ferreri e di un'infinità di altre star del mainstream nostrano. Pubblicato sul numero di dicembre di Inside Art.

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LA FABBRICA DEI FENOMENI
Il boom di Giusy raccontato dal suo scopritore:
«L’arte? Si ottiene facendo pulizia»


Uno che ha firmato il primo contratto a Ligabue diciott’anni fa, nel 1990, e a Laura Pausini un paio d’anni dopo è uno che se vuole una voce se la prende. A costo di infilarsi di nascosto, e contro le rigide regole del programma, negli studi televisivi del talent show X-factor e mettere il suo sigillo sul fenomeno dell’anno, Giusy Ferreri. Fabrizio Giannini, discografico e talent scout ai vertici del mondo della musica nostrano da un quarto di secolo, è infatti ferocemente convinto che «i fenomeni veri, quelli che resistono negli anni e non le miriadi di gruppetti che scambiamo per tali, sono quelli che dispongono di tutti gli ingredienti fondamentali: voce, carisma e prodotto. A chi scopre e produce il compito di mettere tutto assieme, se ci riesce».
In che modo nasce un fenomeno come Giusy?
«È un caso eclatante. La vera storia di Giusy è diversa da quel che si pensa. Era da tempo parcheggiata in case discografiche, non era una sconosciuta. Aveva fatto un singolo, ma non era successo niente. L’ho vista, come si sa, durante lo show. Mi ha fatto subito impazzire la voce, unica in Italia, e la sera stessa mi sono mosso tentando di incontrarla. Conoscerla ha confermato l’impressione: è una donna, non una ragazzina, e ascolta molto. Questo garantisce un’ottima sinergia nei momenti importanti. Feeling che ha trovato anche con Tiziano Ferro, divenuto poi produttore del disco. Gli elementi? Talento e carisma ci sono. Abbiamo tanti cantanti in Italia, ma quelli dotati di autentico talento sono pochi. D’altronde il fatto che sia la prima volta che esplode un caso tramite un talent show è significativo, ed è anche la prima volta che io stesso sfrutto la tv per pescare chi devo produrre. Il passato era pieno di flop, sia di nomi che di programmi».
La tua idea rispetto all’odierna fabbrica dei talenti del mondo della musica, ma non solo?
«Una volta avevi produttori, deejay e addetti ai lavori che facevano un lavoro di filtro. Oggi, col web, tempi si sono infinitamente accorciati. Ormai lavoro tramite il sito. Ma i criteri, qui sta il punto, non cambiano più di tanto: è più difficile fare scouting se qualcuno non ti fa una scrematura su larga scala, proprio perché i talenti erano e restano pochi. La crisi delle vendite dei cd sta esattamente nella paradossale carenza di preselezione: i negozi sono zeppi di roba che nessuno compra, proprio perché sono prima di tutto prodotti scadenti, fatti male. Meteore. Il pubblico, nel marasma, sta tornando esigente sotto il profilo produttivo e sa cogliere i fuoriclasse, che poi restano. Gli artisti che ho firmato e scoperto, non a caso, ci sono ancora».
Quali sono gli ingredienti per il successo?
«La voce, la personalità, il carisma e, soprattutto, il prodotto, come dicevo. Il pubblico, per mille motivi, dal download al costo dei cd, non accetta più cose mediocri. Deve avere il top. Quello di Giusy, infatti, è un disco bello, anni luce dell’usa e getta. Noi per primi dobbiamo proteggere la qualità del prodotto, dalla scrittura alla cover coinvolgendo anche l’interprete. Che dev’essere sempre più cantautore, vivere quel che canta, come fa lei. Poi è ovvio che lavoriamo in un mercato che ha regole ferree, dalle quali è autolesionistico tentare di prescindere oltre certi limiti. La prima è quella del momento, di stare attenti a quanto accade attorno. La voce di Giusy è la stessa da una vita, Amy Winehouse è esplosa due anni fa. Se questo significa costruire un artista a tavolino, ben venga, siamo tutti costruiti. Invece si tratta solo di avere tempismo. Altrimenti bruci tutto. Il resto dipende dal pubblico: la faccenda di Giusy cassiera all’Esselunga l’hanno costruita i media e alla gente è piaciuta. È il paese che pesca quel che preferisce. Sono mesi che vorrei farla andar via».
Arte e mercato: un binomio possibile?
«Si, a patto che si pensi alla qualità, non alla quantità. Che si rispetti chi compra – se vogliamo che continui a comprare – facendo pulizia in una scena intasata e stando a contatto con la gente. È dura, ma è l’unico modo per garantire statuto artistico al mondo della discografia di oggi e di domani».


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IL DISCOGRAFICO
Un quarto di secolo al top

Fabrizio Giannini nasce a Milano il primo marzo 1960. Inizia la carriera nel 1980 alla Cgd Messaggerie musicali. Nell’85 passa alla Cbs dischi dove muove i primi passi nella produzione del repertorio italiano. Nel giugno del 1988 lascia la Cbs e accetta la posizione di vice direttore artistico alla Emi music per dedicarsi alla sua passione: la ricerca e lo sviluppo di nuovi artisti. Dopo due anni accetta però la proposta della Wea italiana dove viene nominato direttore artistico. Gli anni Novanta sono il suo periodo d’oro: scopre e firma gente come Ligabue, Laura Pausini e Irene Grandi. Nel frattempo, nel ‘96 viene nominato direttore generale della Cgd, acquisita da Warner. Dopo dieci anni di successi, lascia l’azienda e torna in Emi come general manager. Scopre Tiziano Ferro – di cui è oggi manager – Sergio Cammariere, Amalia Grè, Mondo Marcio e i Finley. Nel 2007 decide di mettersi in proprio con la A&R management, mettendo subito a segno il suo primo colpo scoprendo e producendo l’esordio di Giusy Ferreri. Info: www.fabriziogiannini.it.

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