9.8.06
Fidel, fallo per noi non ci lasciare
Vista la situazione delicata che sta vivendo Cuba, oggi vi regalo un breve racconto di un giovane scrittore dell'Isola, Alejandro Torreguitart, che mi è giunto attraverso il suo nume tutelare italiano, lo scrittore Gordiano Lupi.
Il brano è stato composto l'altro giorno.
E vi risparmio - ma vi invito a mettere comunque in moto il cervello, anche se è agosto, e a farlo da voi questo semplice e però irrinunciabile ragionamento - ogni disquisizione sul come e quanto l'informatica ci abbia cambiato la vita: due giorni fa un giovanotto havanero, in una triste serata nella sua casa, ha scritto un racconto.
Che ha poi inviato, suppongo via e-mail, in Italia. Dove Gordiano Lupi lo ha tradotto e a sua volta diffuso fra i suoi contatti.
Infine (infine? Ma quale infine...) io, oggi pomeriggio, l'ho stampato e letto crogiolandomi sul divano con la mia ragazza.
Cose dell'altro mondo. Anzi, no: cose di questo mondo qui, basta realizzarlo.
Fidel, fallo per noi non ci lasciare
Grande notizia oggi in Cubavision. Non ci sono i cartoni animati prima del Noticiero, hanno sospeso pure il film americano e la telenovela sui froci, quella che piace tanto a Mariela e che io ne farei pure a meno di guardarla, preferisco Sex and City sul satellite, lo vedo da Paco pure se è proibito, lui ha trovato il modo. Si trova sempre il modo qui all’Avana, tutto è proibito ma tutto è permesso, basta dare la mancia alla persona giusta, tenersi buono il vicino, allungare qualcosa al rappresentate del partito. Ma non divaghiamo che oggi c’è la grande notizia. Tutto il resto non conta. Fidel sta male, deve operarsi, pare che sarà una cosa lunga, non riuscirà neppure a festeggiare il compleanno, ma stai sicuro che lo fa più in qua, magari mette in piedi una megafesta con la scusa dell’anniversario della Rivoluzione, che ormai lo scrivo maiuscolo per abitudine ma questa cosa qui mica mi viene bene. Fidel ha lasciato il potere nelle mani del fratello, un ragazzino di settantacinque anni, uno che quando apriva bocca lui lo rimbeccava sempre, della serie tu stai zitto che non capisci niente cosa ne vuoi sapere della Rivoluzione, occupati dell’esercito, fai la guerra con i soldatini, pensa alla Cina e al modello comunista che va verso il mercato, ma rompi poco le palle. Insomma, ora come ora questo ragazzino di settantacinque anni che in televisione lo vedi sempre con la sua bella divisa verde olivo stirata di fresco, occhiali da talpa, baffetti radi, statura mingherlina che pare il figlio scemo di Fidel sarebbe il depositario della Rivoluzione. Stiamo messi bene.
“Comanda il partito. Raul non conta niente” dice Paco, uno che suona con me nell’Esperanza. Lui ha una voce che quando canta leva di sentimento, ma oggi non ha tanta voglia di cantare.
“Non so cosa è meglio…” sussurra Pablo che ha messo da parte la chitarra. Pure lui non prova. Non ne ha voglia.
Manuel se ne sta fermo da una parte a guardare la sua tromba e la rigira tra le mani come in attesa di qualcosa che non viene. Armando ha posato maracas e timbales su un tavolo e sorseggia un caffé.
“La batteria serve a poco se voi non collaborate” dico.
Più mercato e meno Rivoluzione, scrivono i giornali che vengono da fuori, quelli proibiti che raccontano le cose come stanno o almeno ci provano. La Rivoluzione è sempre più forte, recita il Granma, ma su quello c’era da stare più che sicuri, per il Granma la Rivoluzione è sempre mas solida y fuerte, la musica non cambia mai.
“Paco, cazzo, adesso leggi pure il Granma?” dico.
“Che cosa devo fare? Dovrò informarmi in qualche modo…”
“Se t’informi con il Granma sei a posto…”
No, le palle del Granma proprio no, quelle me le risparmio e se oggi non è giornata e non si prova finisce che me ne torno a casa e mi metto a studiare che c’ho un esame di letteratura cubana tra poco e mica sono preparato. Un amico mio che viene dalla Spagna m’ha portato l’opera completa di Cabrera Infante e io me la sono letta quasi tutta, pure se lo so che nell’esame di letteratura mica ce la trovo, non serve a niente. Magari dovrei studiare Abel Prieto e la narrativa contemporanea, quella che piace tanto al partito perché sta dentro alla Rivoluzione, come ha detto Fidel. Dentro la Rivoluzione tutto, fuori dalla Rivoluzione niente. Preferisco fuori, comunque, anche perché non riesco mica più tanto a capire che cosa sarebbe questa Rivoluzione, vorrei essere così sicuro di difenderla come chi non la deve subire, ché loro ci riescono bene, non hanno la tessera, non devono fare i conti con il riso che manca dopo sette giorni e con i fagioli da risparmiare. Sarei rivoluzionario pure io se mangiassi bistecche ogni giorno, guarda, sarei un compagno perfetto, crederei a tutto quello che dicono, al pericolo che viene dagli Stati Uniti, alla prossima invasione, alla minaccia americana, all’embargo che è la sola causa dei nostri problemi. Credo a tutto, Raul. Te lo giuro. Però dammi da mangiare un po’ di carne, magari già che ci sei trovami pure un vestito nuovo, ché questa camicia bianca e i pantaloni sono consumati, più li lavo più si strappano, magari dammi anche un paio di scarpe nuove che queste sono tutte rattoppate, magari vedi se m’insegni come fare per arrivare alla fine del mese con cinque dollari in tasca. Magari è meglio se me ne sto zitto. Magari.
E insomma, gira picchia e mena, me ne torno a casa che le prove non le ho fatte, il concerto chissà se lo faremo, forse i turisti che c’hanno chiamato si faranno vivi e noi improvviseremo Hasta siempre comandante, tanto si sa che vogliono quella, specie se sono italiani, e a me viene sempre la voglia di fare il rap di Rey el vikingo, quello che dice Hasta cuando comandante, sarebbe più in tema, ma tanto per cambiare è proibito, mica si può. Torno a casa e penso ancora alla notizia del giorno, quella che tutti si sussurra e nessuno c’ha il coraggio di affrontare. Mica sarà morto davvero, penso. Mica ci lascerà nelle mani del partito comunista? Mica ci farà governare dal fratello che pare un cartone animato e quando ride sembra Speedy Gonzales? Non lo so cosa succederà ancora. Non lo so proprio. Forse niente come al solito e lui ritornerà come prima, magari malato, stanco, lo sentiremo dire le solite cazzate di sempre, la minaccia americana, l’embargo, la Rivoluzione mas solida y fuerte, il coraggio di Cuba. Sì, lo so che sono tutte balle, ma dette da lui hanno un altro sapore e magari si sopportano meglio.
Fidel, fallo per noi. Non ci lasciare.
Alejandro Torreguitart - L’Avana, 7 agosto 2006
Traduzione Gordiano Lupi - diritti riservati
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