E’ un film per noi. Per noi cinici, disincantati, disillusi. Per noi, giovani di belle speranze, che vediamo rotolare (rantolare?) il mondo verso il fossato dei nuovi barbari. Per noi che vorremmo fare qualcosa – qualsiasi cosa – per evitare lo scatafascio della temperie socio-affettiva che il XXI secolo pare inevitabilmente portarsi appresso. Per forza, sembra. E allora rapporti sgranati, sfocati, stanchi. Stress a livelli inimmaginabili, generato da un falso agonismo fra pezzenti. Analfabetismo dell’animo e del cuore.
Denys Arcand è un po’ il nostro cantore, diciamolo. Quello che scarica in video – tentando di scovare stratagemmi narrativi stranianti, in questo caso la realtà parallela dei giochi di ruolo in costume – tutto ciò che detestiamo. Tutto quello su cui non possiamo fare a meno di incazzarci. Le intere nostre frustrazioni. Perché il personaggio di Jean-Marc – nel molle e azzeccatissimo volto del comico Marc Labrèche – è senz’altro un mediocre funzionario statale dalla vita banale e priva di senso. Con villino, figlie sordomute barricate dietro ipod e telefonini e una moglie arrivista e iperattiva. La donna perfetta.
Tuttavia, dentro le sue paure e i suoi sfinimenti, ci siamo tutti. Proprio tutti. E lo pensavo stasera, mentre rientravo – pendolare – nel mio paesone, incastonato nel traffico romano. Scambiandomi sguardi rognosi con quello della Clio affianco.
Dopo il registro straziante, secco e delicatissimo de Le invasioni barbariche, il regista del Quebec chiude (?) la sua trilogia dedicata alla vivisezione del nostro putrefatto tempo con una sonora sterzata verso il grottesco e il surreale. Cambia toni, registri, colori. Scegliendo addirittura di ficcare nel film inserti fantastici – l’apertura e la chiusura e soprattutto le elucubrazioni femminili di Jean-Marc, che trova rifugio nei suoi pensieri erotici alimentati da quanto i mass media gli danno in pasto. Edificando, in parallelo alla sfiancante e sciatta esistenza del protagonista fatta di surgelati, burocrazia mangiasperanza e post-fordismo esistenziale, una variante medievale stile armata brancaleone. Attenzione, dice Arcand: stiamo tornando indietro. Poco male, aggiunge mesto e a mezza bocca: se questi sono i risultati.
Se Le invasioni barbariche, nel pur drammatico tema affrontato, rivelava un approccio squarciato dal solare, vitale (e malato) Rèmy, L’età barbarica sembra non ammettere scampo al grigiore. E il titolo originale (L'Âge des ténèbres) la dice lunga sull’asfissia che distrugge, con Jean-Marc, tutti noi. Ogni giorno. Ogni fila. Ogni sportello della burocrazia. Ogni sogno infranto. Ogni saluto negato. Ogni carezza perduta per stare davanti a un pezzo di plastica con uno schermo.Finisce che l’Arte salva. Salva la vita. Perché dà da mangiare allo spirito, la parte di noi che abbiamo dimenticato a casa. Prima di lanciarci nell’ennesima maratona socio-costrittiva.PS Poi - certo - dimenticavo: riderete di brutto. Ma di quelle risate che solo noi sappiamo farci: risate di dramma.
(20/12/2007) - © 2002 - 2007 Extra! Music Magazine. Tutti i diritti riservati.
21.12.07
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3 hanno detto la loro:
"risate di dramma": azzeccatissimo.
quasi quasi torno a rivederlo.
STU PEN DO
Grazie, Sara.
Auguri!
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