6.5.08

NAZIROCK, IL BUCO NERO DEL BELPAESE

Il mese scorso ho intervistato, per Inside Art, il giornalista e regista Claudio Lazzaro, del quale è da poco uscito un documentario, "Nazirock". Un lavoro (purtroppo) di estrema attualità: la pericolosità sociale del fenomeno neofascista, in particolare nella sua pervasività giovanile, è nota da tempo. Ma gli eventi di Verona - e i relativi commenti politici, che mirano puntualmente a minimizzare fatti gravissimi - hanno fatto si che questa intervista potesse essere utile in particolare in questo momento. Per cercare di capire. Dopo la morte di Nicola Tommasoli.

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In sala, non c’è mai arrivato. Dopo la popolatissima anteprima capitolina al Piccolo Apollo “Nazirock”, l’escursione di Claudio Lazzaro nel cuore nero del neofascismo nostrano, non ha più trovato spazio né al politecnico Fandango di Roma né all’Anteo di Milano. Bloccato dalle diffide che Forza Nuova, il movimento di estrema destra guidato da Roberto Fiore, ha recapitato agli esercenti. Nel frattempo, il film è uscito in dvd con libro allegato, come il precedente lavoro sulla Lega Nord, “Camicie verdi”. «Anche in questo caso», dice il regista, «vittima di un inquietante fenomeno di autocensura che ha procurato non pochi problemi in alcune librerie Feltrinelli». Davvero strano. Perché se i settantaquattro minuti sulla musica e i rituali delle frange estremiste hanno un obiettivo dichiarato, è proprio quello di comprendere. Certo, non per condividere. Ma nemmeno per provocare gratuitamente le reazioni dei (giovanissimi) camerati italioti.

Qual è il livello di pericolosità sociale del fenomeno: è un dramma o una farsa?
«Una farsa proprio no. La questione è semplice: i voti della svastica e del saluto romano, quantificabili nell’ordine di 500mila, sono ormai sdoganati attraverso il sistema delle alleanze elettorali. Sono così penetrati nel sistema istituzionale con le loro posizioni e i loro obiettivi. Militanti e leader parlano apertamente di revisionismo, di riscrivere la storia. Ecco: se rimettiamo in discussione le fondamenta della nostra società, creiamo una latenza intellettuale che di per sé stessa rappresenta un pericolo. Non ci si riesce senza conoscerla, come faccio nel film».

Com’è possibile che le istituzioni lascino carta bianca a questi gruppi, penso al “campo d’azione” annuale di Marta, vicino Viterbo?
«La ragione è la solita: lasciando sbottare il fenomeno, si evita di far maturare il bubbone. Questo, però, dovrebbe essere concesso entro i limiti di legge».

Ma sono davvero così brutti e cattivi, questi skinheads? O sono solo una delle nuove tribù giovanili, più pericolosa delle altre in quanto gioca con la storia?
«Occhi cattivi non ne ho incontrati, lo ripeto sempre. Ho visto, piuttosto, ragazzini in età da superiori che, dietro i grezzi proclami di vecchi capi, cadono troppo facilmente nelle trappole di logore ideologie. Un po’ moda, un po’ globalizzazione, un po’ totale e disperante incomunicabilità».
Dal film esce una mistura micidiale di inconsistenza storica e incrollabile fedeltà alla causa.
“Infatti. Tanti ragazzi con i quali, per dirla con la lezione di Pier Paolo Pasolini datata 1974, non siamo riusciti a dialogare. Se li ascolteremo, forse riusciremo a disinnescarli».

2 hanno detto la loro:

silvia ha detto...

un paio d'anni fa ho guardato, con notevole sconcerto, "camicie verdi". ora voglio assolutamente vedere anche questo. convinta che lo sconcerto sarà accompagnato dai brividi...

Matan ha detto...

Io temo che sia un po' meno "globalizzazione" e un po' piu' "Machiavelli" la radice di questo fermento.

La civiltà è dei virtuosi.